Giovanni leto antologia Home / Biografia
/ Bibliografia / Esposizioni
/ Antologia / Opere
/ Album / Contatti |
||
Giorgio Di
Genova Il
corpo a corpo con lo spazio della pittura reificata di Leto |
||
Dalla
svolta attuata diedi anni fa con i primi collages, nei quali prendeva
letteralmente “corpo” quella istanza di fisicità che premeva all’interno del
suo far pittura, Giovanni Leto ha compiuto passi da gigante nella fondazione
di una nuova semantica espressiva del quadro. Assecondando quell’indomabile
inquietudine spaziale che lo aveva guidato a metà degli anni Ottanta alle
sedimentazioni oggettuali sulle superficie piane, che già ebbi modo di
chiamare “Paesaggi dell’Altrove” per la loro forte allusività
geologica, Leto è riuscito sia a restituire concretezza ai valori plastici
della pittura, gettandosi alle spalle tutti gli artifici (in primis
chiaroscuro e sfumato), a cui erano ricorsi per secoli i pittori al fine di
ottenere tali valori, sia nel contempo a restituire colore al discorso
plastico, ricorrendo al bassorilievo assemblagistico ottenuto con la
manipolazione di carte varie, talvolta misti a brandelli di stoffa. Era
già questo passo, seppur timido, sulla via di una effettiva riappropriazione
della realtà fisica da parte della pittura. Di quali e quanti erano stati i
processi che le avanguardie del ‘900 avevano attuato per lastricare questa
via, ho avuto modo di dire in occasione della mostra di Leto, tenuta alla
fine del 1988 presso la Galleria Civica d’Arte Moderna di Monreale, per cui
mi permetto di rimandare a quanto allora scrissi a proposito della
collocazione e connotazione di Leto nel contesto del panorama di quel
versante dell’arte contemporanea che da decenni ha decretato la fine degli
illusionismi a cui il linguaggio pittorico s’era affidato nei secoli precedenti
per imitare la fisicità e gli assetti soaziali ad
essa connessi. Quel che qui mi preme è continuare quell’analisi, al fine di
individuare ed indicare la specificità dell’attuale discorso di Leto, nel
quale – e lo si capisce di primo acchito – la già chiamata in causa
inquietudine spaziale ha spinto l’istanza della fisicità a scendere in campo,
addirittura nel suo campo appunto: quello dello spazio reale e praticabile,
portando il nostro artista ad un felice connubio di fisicità e spazio,
aspetti, questi, che hanno sempre costituito, da dieci anni in qua, i
due poli della sua ricerca. Che Leto sentisse ormai stretti per la sua ricerca
i panni della pittura deificata, avviata alla metà degli anni Ottanta, lo si
avvertiva nelle opere dell’ultimo biennio del decennio passato. Il concetto
di paesaggio, assieme a quelli di sedimentazione e stratificazione
oggettuale, non lo soddisfaceva più, perché in esso persistevano aspetti, che, come
l’orizzonte, oltre ad essere ancora implicitamente imitativi, rimanevano ancorati
e in qualche modo imprigionati nella tradizione del quadro, ovvero nell’opera
come quadro, da appendere alla parete con una promessa fi fisicità, che era,
sì, presente nel bassorilievo cartaceo, ma rimaneva ancora nel limbo della
fruizione contemplativa, traendo dall’interno l’istanza di invasione dello
spazio, che era stata la mola prima della svolta da Giovanni Leto attuata a
metà degli anni Ottanta. Dapprima egli ha
creduto che, invadendo l’intera superficie con ondulate, serpentinate o
labirintiche sedimentazioni del suo modo di rinserrare i suoi rotoli di carta
dipinta e no, potesse ottenere quanto aveva costituito il suo rovello sino ad
allora, cioè porsi au delà
de la peinture, realizzando quadri-oggetto. Ma,
in tal modo, in realtà azzerava solo le allusioni all’orizzonte
e alla conseguente finale immagine paesistica e l’opera rimaneva
quadro da parete. In altre parole non veniva raggiunta la completa
reificazione della pittura, né veniva attuata la conquista dello spazio.
Bisognava, allora, infrangere gli schemi usuali. Cioè bisognava scardinare la
forma rettangolare o quadrata per uscire dal concetto di quadro. Ed ecco Sezione
del 1991 ed Esaedro del |
1993, Leto nello studio a Bagheria Veduta parziale della personale il corpo a
corpo con lo spazio della pittura reificata, tenuta a Bagheria nel 1993
alla galleria Ezio Pagano Segnale, 1992 Legno, carta, stoffa colori, cm. 140x220
circa Onda, 1990 Tecnica mista, cm. 50x60 |
|
Era
bastante questo aggiustamento d’orizzonte? Non lo era, perché rimaneva disattesa
l’esigenza primaria, quella della conquista dello spazio. Leto
ha tentato di soddisfare, sempre nel 1992, questa esigenza con una rottura
del tessuto delle sue sedimentazioni in Trame, dove quasi sembra abbia
voluto oggettivare i liberi andamenti labirintici prodotti talvolta da
Pollock nel suo dripping, e quindi in Lombrico,
che costituisce a mio avviso un vero e proprio sganciamento dall’ottica
precedente, in quanto il libero snodarsi della massa cromocartacea
è una prima conquista di oggettivazione spaziale, che, tra l’altro, relega la
superficie gialla a neutra funzionalità di supporto e nulla più. Lo
spazio cominciava a determinarsi come incorporazione nella stessa forma ottenuta con le solite, per Leto,
manipolazioni di carte e stoffe. Finalmente il quadro era superato e l’opera
poteva scendere dalla parete e invadere lo spazio erigendosi all’interno di
esso come “memoria” del quadro. Racconti erotici, sorta di grande
libro rosso, nel quale solo il dorso viene movimentato dalla caracolla, è il
primo cospicuo traguardo che racchiude in sintesi tutti i processi sin qui
descritti. Per questo tale lavoro ha l’aura di un monumento, un monumento,
per così dire, alla memoria del quadro. E come tale in esso viene ricordato e
rappresentato – come si fa in ogni monumento alla memoria che
si rispetti – un aspetto del passato, quello cioè degli esordi
fisico-spaziali di Leto: il dorso di Racconti erotici non è, infatti,
una sorta di ricordo del vuoto telaio fasciato e dipinto di Composizione 1
del 1984-85? Con
questa rievocazione del telaio-cornice da quegli esordi i giochi erano ormai
fatti. La fisicità soddisfatta appieno, lo spazio conquistato. Ormai
Leto si poneva non solo au delà du tableau, fino a giostrare
con i singoli elementi del telaio, ora ricoperti dalle grinze della
caracolla, com’è in quella T coricata che è Attesa, ed ora fasciati da
stoffa e carta, a palese citazione del telaio-cornice di Composizione 1,
com’è in Percorsi, vero e proprio labirinto all’interno del quale
tuttavia sembrano allagare ideogrammi degli I Ching,
quasi l’artista volesse interrogare, per una personalissima divinazione, il
tragitto (e stavo per dire i percorsi) che sta compiendo. Con
lo spazio è stata conquistata anche la liberta delle morfologie espressive,
ormai definitivamente sganciate dal concetto di quadro. E una volta superato
il concetto di quadro, così com’è già avvenuto a tanti artisti più di un paio
di decenni fa, quando da un’esigenza simile nacque il Concettualismo, il fare
di Leto s’è trovato a dover far i conti con il concetto di forma e di opera,
compiendo un ulteriore passo, questa volta verso modi espressivi
post-concettuali, del resto già preannunciati in Attesa, così come in Percorsi,
dove, però, la reificazione pittorica non è esente da suggestioni
minimaliste. Dell’attuale
momento post-concettuale di Leto fanno parte Segnale e Ponderabile-imponderabile ,
due momenti del nuovo corso della ricerca di questo significativo artista
siciliano. Due momenti che, come facce della stessa medaglia, da un lato
propongono l’assolutezza spaziale di Segnale, specie di Q in cui si
attua una vera e propria copula di cerchio e retta (ed è inutile qui
sottolineare i sostrati femminili del primo elemento e i sostrati maschili
del secondo elemento), e dall’altro lato la fisicità di Ponderabile-imponderabile,
opera che, se nella vaschetta con acqua azzurra richiama alla mente il Pascali di Che
sia, ora che le conquiste fisiche e spaziali son state realizzate, il
preannuncio di un’ulteriore svolta del discorso di Giovanni Leto? Non
resta che aspettare le prossime sue opere per constatarlo. Le premesse qui
presentate, comunque, lasciano ben sperare, come pure la serietà e l’impegno
che da sempre caratterizzano la ricerca di questo artista. Giorgio Di Genova, Il corpo a corpo con lo
spazio della pittura reificata di Leto, Edizioni Biblioteca Comunale “F.
Scaduto” – Bagheria, 1993 |
Entropia, 1992, ferro, carta, stoffa, colore, cm. 220x120x60
circa. |
|
|
|
|